Ho scoperto che non siamo tutti uguali. La scoperta affonda le sue radici dai primi giorni trascorsi all’asilo, quando, costretto a stare in uno stanzone tra miei coetanei urlanti e scaccolanti, mi rendevo amaramente conto di quanto la violenza e il desiderio di sopraffazione pervadeva molti di loro. Violenza, prepotenza, arroganza: mi era stato insegnato a non manifestarle, a controllarle, a reprimerle. Non pensavo anche di doverle subire. Perché e’ inutile sottolinearlo, ma se un bambino viene educato a non farsi artefice di violenza e prepotenza, automaticamente pur non volendolo, lo si rende vittima di entrambe.
Si cresce. E le maschere della circostanza calzano bene sui visi sfatti dei violenti e dei prepotenti. I bambini non mascherano queste caratteristiche, imparano ,invero, a esercitarle con piu’ astuzia, sempre a danno di chi sta iniziando a preparare le difese. Questi bastardi sono sempre un passo avanti.
Si diventa grandi. E le maschere diventano la seconda pelle. I ragazzi violenti non riescono piu’ a togliersele, ormai fanno parte dei loro lineamenti, delle fattezze del viso, del cranio: li hanno coperti come cera liquefatta, ora non resta che raffreddarla. La maschera che si erano messi da bambini e’ diventata un tutt’uno con il volto che fu, dando vita ad un volto nuovo, il volto del figlio di Caino.
Il figlio di Abele non e’ un pavido: e’ un giusto, ma date le circostanze puo’ essere anche un dannato. Lui, la maschera, la porta malissimo. Si vede che non gli sta.
Non siamo tutti uguali e la dicotomia e’ netta. Angeli e demoni.
A tal pro cito un particolare che mi colpi’ quando ero alle elementari: ricordo che frequentavo la scuola elementare Renzo Pezzani, a Genova Sestri, uno scatolone di cemento biancastro incastrato su per via Sant’Alberto. Era il giorno degli orali, intendo dell’esame di quinta. Fino a quel giorno che non fossimo tutti uguali ci ero arrivato, ma io ero ancora convinto che bisognasse comportarsi con tutti come se lo fossimo. Perché, allora, la mia compagna Anna Maria, una biondina normalmente impostata, figlia di un appartenente alla guardia di finanza e di una casalinga provenienti dalla Calabria, che non eccelleva né in profitto né in intelligenza rispetto agli altri membri della classe, veniva trattata dalla commissione di esame come fosse una candidata a salire su Marte?
Mentre la mia interrogazione di matematica verteva su alcune semplici domande, per quale motivo il maestro Ratti, un anonimo ometto calvo vestito di grigio, dopo aver interrogato la summenzionata Anna Maria, sotto lo sguardo compiaciuto e complice della nostra maestra , la sottoponeva ad uno strano giochetto per valutarne una presunta “superiore” intelligenza?
Per quale singolare motivo il maestro Ratti faceva vedere le dita delle mani alla candidata producendosi in un gioco muto, come formulasse dei codici, o degli enigmi? Lei, da brava bambina annuiva saccente, sveglia come una faina.
Ad una cosa e’ servita, quell’esperienza. A rifarmi capire che non siamo tutti uguali, ma soprattutto che alcuni di noi in particolare sono destinati a non essere considerati come tali in prospettiva. E senza una particolare spiegazione.